Il suo nome è legato indissolubilmente a Picasso, di cui fu musa e amante, ma in realtà è stata molto di più. Modella, poetessa, pittrice e fotografa, Dora Maar è stata una delle pioniere dell’emancipazione artistica femminile negli anni d’oro del surrealismo parigino.
Al secolo Henriette Theodora Marković, Dora Maar nasce a Parigi nel 1907 da padre croato e madre francese. Trascorre l’adolescenza tra Parigi e Buenos Aires dove il padre, architetto, aveva ricevuto importanti incarichi. Fin da bambina rimane affascinata dalle opere di de Chirico e dalle nuove correnti architettoniche, e negli anni ’20 studia all’École et Ateliers d’Arts Décoratifs di Parigi, poi frequenta l’Académie Lhote dove incontra Henri Cartier-Bresson, e infine si appassiona alla fotografia e si iscrive all’École de Photographie de la Ville de Paris. La sua eclettica carriera artistica, fra introspezione esistenziale e ribellione alle convenzioni dell’arte, è ben rappresentata dalle sue enigmatiche fotografie, che la confermano un’artista anticonformista e coraggiosamente innovativa.
Nonostante fosse presente nelle collezioni del Musée National d’Art Moderne assieme a Brancusi, Brassaï, Eli Lotar, Man Ray, Dora Maar è l’unica artista che non è stata oggetto di un serio progetto di valorizzazione. Grazie al Centre Pompidou di Parigi, in collaborazione col Museo J. Paul Getty e la partnership della Tate Modern, la retrospettiva Dora Maar ha ripercorso la carriera dell’artista attraverso oltre quattrocento fra opere e documenti: dalle prime commissioni per la moda e la pubblicità, alle fotografie in studio e di strada, fino alla partecipazione al surrealismo, l’incontro con Picasso e la vecchiaia in solitudine. La recente digitalizzazione dei negativi dell’artista ha reso il suo lavoro accessibile a un vasto pubblico.
Collaborando con Pierre Kéfer, Dora Maar si dedica alla ritrattistica, alla moda e all’illustrazione pubblicitaria, utilizzando diverse tecniche: tagli prospettici e deformazioni, doppie esposizioni e collage, il tutto intercalato da immagini che descrivono la realtà più cruda delle città, dove persone disagiate e sofferenti si muovono nel degrado. Spesso utilizza fotomontaggi inserendo i suoi personaggi in architetture ribaltate da rotazioni e deformate in camera oscura.
“Per quanto sia attenta a studiare il materiale di alcuni oggetti selezionati, fiori, conchiglie, tutti i frutti della terra e del mare, Dora Marković è ancora più attratta dalla vita di strada”, osserva il critico Jacques Guenne ne L’Art vivant del 1934. Parallelamente al lavoro in studio, infatti, Dora Maar ricerca scene insolite, drammatiche e anticonvenzionali. Fotografa i giovani nelle ramblas barcellonesi, gli abitanti dei quartieri popolari di Parigi, la varia umanità dimenticata dalla società inglese, prodotti della crisi economica mondiale conseguente al crollo della borsa di New York del ’29. Mendicanti, vagabondi, disperati e madri sole con figli piccoli diventano opere fotografiche surrealiste, scatti esplicativi della sua capacità di cogliere l’umanità nei gesti e negli sguardi.
Assieme ad altre artiste di estrazione borghese, Dora Maar prende coscienza della diffusa diseguaglianza sociale e della disperazione in cui versa gran parte della popolazione. Si schiera dalla parte dei diseredati, ma “questa sua presa di posizione era accompagnata da un’istintiva inclinazione per il misterioso, il magico e il soprannaturale”, una sintonia che la avvicina al gruppo surrealista. Il mondo dei sogni, l’arte infantile, il primitivo, l’erotismo, l’inquietante stranezza del quotidiano: questo è l’universo di Dora. Nella sua lunga carriera collabora con Georges Bataille, Jacques Prévert, Louis Chavance e la sezione fotografica dell’AEAR (Associazione di scrittori e artisti rivoluzionari, fondata nel 1932). Espone con celebri fotografi: Henri Cartier-Bresson, Nora Dumas, Germaine Krull, Jacques Lemare, Eli Lotar e René Zuber, tra gli altri.
Il suo impegno politico la avvicina ai surrealisti con i quali inizia una complicità intellettuale e artistica intorno al 1933. Sotto il sigillo del surrealismo, Dora Maar fonde arte e vita, invitando i surrealisti a posare nel suo studio al 29 di rue d’Astorg, che poi gestirà da sola, mantenendo forti amicizie, in particolare con Paul Éluard e la sua compagna Nusch. Utilizzando l’inconscio e la ricerca del mondo interiore, Dora Maar mette la sua tecnica al servizio di molteplici fotomontaggi ed enigmatiche fotografie come il Ritratto di Ubu e Il Simulatore, entrambi presentati in diverse mostre surrealiste dal 1935 in poi.
Incontra Pablo Picasso tra la fine del 1935 e l’inizio del 1936, e oltre a iniziare una relazione sentimentale tormentata, con lui sperimenta in camera oscura la famosa serie di scatti in vetro, come ricorda Victoria Combalia in un’intervista pubblicata su Artpress nel 1995: “È stata una sua idea. Gli ho mostrato la tecnica, ha dipinto le tavole”. La loro complicità li porta a collaborare nella primavera del 1937 su Guernica, commissionato dal governo repubblicano per il padiglione spagnolo all’Esposizione Universale di Parigi. Dora Maar fotografa per Christian Zervos – direttore della rivista e della galleria Cahiers d’art – le varie tappe dell’opera, rivelandone il processo di creazione.
L’attrazione reciproca fra i due artisti li porta a vivere una relazione di quasi otto anni tra il 1936 e il 1943. In questi anni, Dora Maar si reinventa artisticamente. Anche se espone ancora fotografie nel 1939, la pittura occupa sempre più spazio nella sua ricerca. Inizialmente ispirata da Picasso, trova il suo stile durante l’occupazione con dipinti intimi segnati da un sentimento di solitudine e gravità. Fino alla fine della sua vita, Dora Maar dipinge, scrive, disegna, sperimenta, ma esporrà sempre meno, dividendosi tra i laboratori di Parigi e Ménerbes. La diffusione del materiale del suo studio a partire dal 1998 offre uno spaccato su questo aspetto poco conosciuto della sua carriera pittorica, e in particolare sul suo sorprendente ritorno alla fotografia negli anni Ottanta. Con i mezzi a sua disposizione, fotografa senza macchina fotografica con i suoi gesti pittorici, realizzando disegni leggeri che simboleggiano la riconciliazione di questi due modi espressivi a lei cari.
Pur rimanendo per molti la modella di The Woman Who Cries, Dora Maar gode da tempo del favore della critica e di riconoscimenti nell’ambito degli studi dedicati al surrealismo e alla fotografia.
Courtesy: Centre Pompidou, Paris
Fonti bibliografiche: Damarice Amao e Karolina Ziebinska Lewandowska, Code couleur n° 34, mai-août 2019, p. 16-21
Dora Maar. Nonostante Picasso, Skira
Pubblicato su Handbook Costa Smeralda, 06/09/2019