Secondo il Sutra del Loto della Legge buddhista, Mandarava è il vocabolo sanscrito che nomina il Fiore del Paradiso disceso a pioggia sul capo dell’Illuminato per proclamare la gloria del perfetto compimento spirituale. Fiore dei fiori, entità multiforme, stella cosmica. E Mandarava è il titolo assegnato alla mostra di Patrizia Garavini conclusasi il 2 giugno 2019 presso i locali del Palazzo del Monte di Pietà di Forlì: 1800 fiori in ceramica pencolanti dal soffitto a mo’ di cascata, evocanti il punto dell’ascesa e della discesa della grazia. Nella moltitudine delle rinascite necessarie per pervenire all’essenza della coscienza compassionevole, scrive Paola Goretti, storica dell’arte e curatrice della mostra, “il prodigio della sua fioritura segnala la forma meditativa di un risveglio: l’accordo universale e simultaneo della vibrazione armonica – tra Natura Umana e Divina – nel costante svanire e rigenerare di ogni cosa”, la via interiore propizia all’assunzione dell’impermanenza. Per celebrare il canto sovrano del vivente.

Impermanenza ed eternità. Questi i due vocaboli sottesi all’opera, che la sostanziano di tutte le catene dei significati possibili. Con evidente richiamo al simbolismo buddhista alla visione della caducità, nella celebrazione, l’artista si immerge nella bellezza riassumendo piacere estetico, ecologia della sensibilità, forma imperfetta del divenire. Incontriamo Paola Goretti e le chiediamo di illuminarci sui significati più misteriosi di questa esposizione.

Che cosa si intende per Ecologia della sensibilità?
Il termine non è mio, ma derivato dalla prefazione di Giovanni Mariotti a quel capolavoro assoluto che è il Libro d’ombra di Yunikiro Tanizaki (1933; ma in edizione italiana molto più tardi). Con questa dicitura, Mariotti sintetizza genialmente la relazione intercorrente tra estetica del piacere (estetica dei sensi) e spiritualità, nell’assaporamento dell’essere vivente a partire dalle forme della vita materiale. La penombra sfumata (propria all’abitazione giapponese) e dei mutamenti luminosi che evolvono ad ogni istante si colora di una sorta di intimità che permea tutte le cose e le assorbe nel raccoglimento, per la celebrazione di un quotidiano accordato ai ritmi dell’universo. La poesia della delicatezza che si manifesta in ogni attimo vive in ciò che è prossimo a scomparire, l’eleganza dell’impermanenza celebra il mistero dell’armonia; tutto allora acquisisce un alone, un’aura, un’intensa sacralità. Che è al tempo stesso mondana, cadùca, eterna. Ammantata di un’atmosfera di gioia, continua e ardente. Secondo questa prospettiva, la sensibilità non è solo piacere estetico ma profondità spirituale del divenire. È anche la prospettiva adottata da Patrizia Garavini.

Quali sono gli intellettuali e gli artisti che all’inizio del ‘900 dichiaravano la totale perdita del sacro dell’arte contemporanea e più in generale della società tutta?
Già Gurdjieff, mentre esplodeva il fenomeno delle avanguardie, andava dichiarando che il mondo contemporaneo aveva smarrito la sacralità delle antiche cerimonie dove l’arte era invece una via di accesso ai mondi superiori (Vedute sul mondo reale, testimonianza dei suoi allievi in forma postuma). Lo stesso lamento doloroso di Pavel Florenskij che nel sublime Le porte regali: saggio sull’icona (1922) invitava nuovamente ad attingere ai serbatoi della trascendenza più luminosa e atemporale; lo stesso che stava teorizzando in modo inequivocabile Kandinsky ne Lo spirituale nell’arte (1912); testo guida e libro rivoluzionario per generazioni, teso a sottolineare con sgomento la mancanza di un senso interiore e la necessità di liberare l’anima, schiacciata dai dogmi del pensiero astratto e da quelli del materialismo; considerazioni analoghe a quelle ripetute da Mondrian in Ritmi Universali (1921–1927), inneggiando al Neoplasticismo come categoria di un sistema aperto del divenire vitale, nel tentativo di risolvere la dualità in unità dove Sensualità e Spiritualità avrebbero dovuto essere compagne di gioia per l’Umanità del futuro. Purtroppo, non è ancora così…

In quale filone artistico si inserisce Patrizia Garavini?
Certamente all’interno di un solco archeomitologico di matrice interreligiosa, nel mantenimento di un contatto con il mondo fluttuante. Dopo aver licenziato, negli anni, opere di impronta più tradizionale, sempre sostenute dagli omaggi al femminile più remoto (figure totemiche, dee madri, alberi guerrieri, tavole dell’accoglienza, fiamme e meduse; oltre a melagrane, aironi, canneti, elementi vegetali, reti decori e tessiture di ogni tipo), la scultrice trova in Mandarava la forma dell’attuale dimensione. Protagonista non è lo scavo intimista dell’io ma la volontà di zittirlo, di trascenderne i confini angusti, di amalgamarlo all’anima mundi, di restituire una dimensione sacrale attingendo alla sapienza della Natura o, come in questo caso, alla legge buddhista dei ritmi universali.

Quale moto dell’anima Mandarava vuole sollecitare nel pubblico che ne osserva le incantevoli opere?
Come molti altri “fiori spirituali” scritti musicati dipinti evocati e plasticati nei secoli (penso al testo di Fechner, Nanna o l’anima delle piante, 1848; al Discorso della montagna del Vangelo o al suo dotto commento in Kierkegaard, Siate come gigli del campo e uccelli del cielo, 1849-51; alle chine di Shitao, monaco pittore del seicento cinese e ai suoi impeccabili fiori in conversazione, agli anonimi dolcissimi fiori dell’erbario di Emily Dickinson – anonimi e senza ego; non sono nessuno, non vogliono essere nessuno – che danzano la gioia senza fine del loro profumo e del loro eterno atto di donazione; ai versi di Rilke, dove tutto il divino sembra assumere le sembianze di una rosa …), anche il Mandarava di Patrizia Garavini è fiore della gioia. Anche noi, come le piante, siamo una grande arpa cosmica siglata dalla luce, sembra dirci. E così ci ricorda la preghiera della gioia. Per celebrarla. Fuori e dentro di noi…

Pubblicato su Handbook Costa Smeralda, 05/07/2019

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